La ricetta della felicità: la neve e una torta di carote


Un po' a sorpresa, forse con un po' di anticipo, il fatidico giorno è arrivato: la prima neve a Helsinki.

Nessuno ci sperava davvero, eravamo convinti che le previsioni fossero un po' troppo pessimiste e invece eccoci qui: i tetti iniziano ad imbiancarsi e i fiocchi di neve volteggiano nell'aria fredda. Sicuramente è soltanto una nevicata straordinaria e questa neve non durerà molto, però si può sentire l'eccitazione nell'aria. La bacheca di Facebook è intasata di foto, i gruppi di Whatsapp sono impazziti, qualcuno ha già improvvisato i primi pupazzi. Sono queste in fondo le circostanze in cui tutti ci riscopriamo un po' bambini, quando ci incantiamo a guardare fuori dalla finestra, oppure ci infiliamo di corsa stivali e guanti e corriamo fuori casa. Poi ci siamo noi, che abbiamo deciso di preparare una torta. Una torta di carote per la precisione. Per sentirci un po' a casa, per far sapere all'inverno che, se sta davvero arrivando, noi siamo pronte. È bello fare qualcosa per se stessi ogni tanto, dedicarsi un po' di tempo e attenzione, magari mescolando farina, zucchero e uova.



Un giorno è passato e la magia è già finita: è tornata la pioggia. Lo avevano detto che sarebbe stata solo una nevicata temporanea e straordinaria, ma noi non perdiamo le speranze. La neve arriverà di nuovo e magari porterà con sé un po' di atmosfera natalizia, le luci colorate, il profumo di cannella.
Per ora però non mi resta che tornare a osservare la pioggia, la dannatissima pioggia che non ci ha mai lasciato per più di una settimana, quella che qualche giorno fa mi faceva scrivere queste parole:

"Scrivo dall'ultimo piano della biblioteca, con una vista sui tetti della città; ormai mi è chiaro quale sarà il tema principale dei miei post nei prossimi due mesi: la pioggia. Qui piove ininterrottamente da più di cinque giorni ormai, forse anche una settimana. Ho perso il conto, l'abitudine ha preso il sopravvento. Mi sveglio con la pioggia, vado a dormire con la pioggia. Ok, all'inizio poteva essere suggestivo e fiabesco; ora non lo è più, è solo dannatamente noioso. Sì perché è una pioggerellina subdola e fastidiosa, di quelle che ti fanno pensare "ma no, non lo apro l'ombrello" e invece poi sei bagnato dalla testa ai piedi. E poi il vento, un dannatissimo vento che puntualmente ti gira l'ombrello. Allora non ti resta che nasconderti tra la sciarpa e il capello e camminare con rassegnazione verso l'università, tanto non c'è modo di ripararsi. Il bello è che qui a nessuno sembra importare, la gente passeggia tranquillamente sotto la pioggia come se niente fosse. Evidentemente qui sono abituati: gli italiani (e gli spagnoli) li riconosci perché non appena scende la prima goccia hanno già l'ombrello aperto. In fondo siamo abituati al sole. Quanto mi manca il sole, l'azzurro del cielo, i tramonti. Sono immersa nel grigio, anzi neanche, non credo possa essere definito come tale. È più un non-colore, una tinta indefinita tra il grigio e il bianco, una sorta di bolla che avvolge tutto.
Ma alla fine Helsinki sei bella anche così, con le tue strade bagnate e gli alberi che iniziano a perdere le foglie; con i comignoli che fumano e lo sferragliare dei tram; con le donne che camminano svelte con un termos tra le mani e i bambini che corrono nei loro stivali di gomma. "

Ora ti ho vista anche sotto la neve Helsinki, vestita di bianco sei ancora più bella.


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